Percorsi, l’Abruzzo del vino e della cultura: i grandi vini con una app

Perché visitare l’Abruzzo? Perché si ha voglia di qualcosa di autentico, di spazi aperti, di buon cibo, di ottimo vino. È semplice conoscere l’Abruzzo?Non tantissimo perché sulla progettazione turistica c’è ancora tanto da fare. Eppure nuove iniziative crescono. Come quella di “Percorsi – l’Abruzzo del vino e della cultura“, un progetto sviluppato dal Consorzio di tutela Vini di Abruzzo – e diventato una web app – percorsi.vinidabruzzo.it – che aiuta il turista a muoversi attraverso itinerari che mettono assieme diversi punti di interesse: vino, cibo, cultura, arte, natura. Tutto partendo dalla terra – quella vitata – e dai vignaioli che, oltre a essere custodi di territori, diventano anche promoter turistici, come Pasetti, Cataldi Madonna, Terzini e Pierantonj da noi visitati.Sono circa 200 le cantine sparse nell’eterogeneo paesaggio abruzzese, dalla Costa dei Trabocchi alle alture aquilane. Da qui l’importanza nell’app della geolocalizzazione: scegliere una cantina – ma non è obbligatorio partire da lì – e vedere cosa c’è intorno: spiagge, eremi, musei, ristoranti. Al momento i percorsi sono dieci, ma la volontà è quella di farli crescere il più possibile. Tra questi, Chieti città d’arte; alla scoperta della Costa dei Trabocchi; Pescara dal mare alle sorgenti; guardando la Majella.

Lasciare gli ingorghi umidi della grande città alla volta di un luogo dove respirare, concede un gran senso di libertà. Alle spalle lasciamo Roma. Davanti a noi il Parco del Gran Sasso e i Monti della Laga in Abruzzo. Due ore prima, il pandemonio di via Giolitti a Termini, due ore dopo il casale in pietra di TenutaTestarossa della famiglia Pasetti a Pescosansonesco che, già a pronunciarlo il nome, ci si prende il tempo necessario per meditare. Siamo alle falde sud orientali del Gran Sasso e quello che abbiamo di fronte è un panorama di montagna. Dove si fa vino.
Nonostante i cambiamenti climatici, le temperature notturne qui possono essere ardue per il ciclo vegetativo della vite. Non è facile fare vino da queste parti, ma è proprio la difficoltà a fare delle bottiglie abruzzesi, bottiglie di carattere. Mimmo Pasetti lo sa. Enologo da 40 anni, ha spostato   il vino dal “mare alla montagna”, perché la sua famiglia aveva vigneti a Francavilla. Agile sì, ma poco sfidante. Così adesso il vigneto aziendale è a Pescosansonesco, a Capestrano, a Castiglioni e anche ad Ofena, in provincia dell’Aquila e sono tra i più alti d’Abruzzo. Le uve sono quelle autoctone, Montepulciano, Trebbiano e Pecorino, quest’ultima rilanciata, insieme a un altro bravo viticoltore abruzzese come Luigi Cataldi Madonna, proprio da Pasetti. La Tenuta Testarossa è l’agri-relais della famiglia, dove fare colazione, pranzare e degustare. Tutto con i prodotti del territorio. La cantina arriverà. Tutto è pronto per iniziare i lavori a Capestrano, ma è la burocrazia che frena. I Pasetti però sono in cinque, Mimmo, Laura e i tre figli. Tutti determinati a fare al meglio il loro lavoro.

Scegliamo un bianco e anche l’ultimo nato – appena tre anni di vita. Il Madonnella è un Trebbiano che proviene da un cru selezionato nell’Alta Valle del Tirino, nell’Aquilano. L’annata in commercio è la 2014. L’idea dunque è già in partenza quella di puntare su un bianco importante. A renderlo tale sono i sei mesi di sosta sulle fecce. Ha una beva densa ma non grassa, terziari che danno complessità senza stancare il vino. Salinità spiccata. Lascia una bocca profumata di fiori gialli e di frutta polposa.

Il professore Luigi Cataldi Madonna non è con noi alla degustazione dei suoi vini. È in giro per l’Italia. Però ci telefona e si scusa, ci fa trovare una lettera al tavolo del ristorante per scusarsi nuovamente e per darci il benvenuto. Lui è un uomo di parole e di pensieri. Docente universitario di Filosofia, ama dire che i suoi vini sono “concettuali” perché “per fare bisogna prima pensare e senza un pensiero non si può fare un vino”. Uno schiaffo al concetto di superiorità del terroir? Affatto, piuttosto una convergenza. D’altronde basta vedere il posto dove nascono le sue etichette per capire quanto la Natura sia potente. Ad Ofena – in località Piano – c’è il “forno d’Abruzzo”, un altipiano a forma di anfiteatro che “appoggia” letteralmente sul Calderone, il ghiacciaio degli Appennini, il più meridionale del nostro emisfero. Un posto caldo refrigerato da una sorta di “frigorifero” sotterraneo, in pratica. Qui nascono i vini, che sono come questa terra: decisi, definiti, strutturati senza rinunciare a finezza e freschezza. Sulla facciata della cantina, colorata da più sfumature di rosa , campeggia il guerriero di Capestrano, uno dei simboli dell’Abruzzo e dal 1975 sulle etichette di Cataldi. Era un Vestino, un membro della civiltà italica pre romana. Sembra proteggere l’opificio, ma anche dire “qui siamo gente tosta”.

 

Un vino “transessuale” secondo Luigi. Che è più di un bianco e più di un rosso, è un Cerasuolo d’Abruzzo, il suo Piè delle Vigne 2016 (assaggiato in anteprima). Non pensate a una via di mezzo, piuttosto a qualcosa che accontenta tutti: chiudi gli occhi e se desideri un rosato, berrai un rosato, se preferisci un rosso, berrai un rosso. Attinge alla tradizione della “svacata” (da vaco, acino), una procedura “casalinga”  – e tipica dell’Aquilano – che consisteva nel separare il mosto dalle bucce e contemporaneamente, in un tino a parte, portare avanti una macerazione con le bucce. Le due parti venivano poi unite a fine fermentazione. La proporzione scelta da Luigi è un 85 per cento di mosto senza bucce e un 15% di macerato. Il risultato è un rosato carico, tannico, croccante, che ha naso e bocca profumatissimi, una frutta nitida, un finale di mandorla. Una poliedricità a tutto pasto imbattibile.

 

Duri e arroccati. Parliamo dei paesaggi o degli uomini e delle donne di queste terre? E se non avesse senso un distinguo? Anche tenaci e accoglienti. La Rocca Calascio rappresenta al meglio queste caratteristiche. Più che un monumento, sembra un luogo onirico, visto in decine di film – da Lady Hawke a Amici Miei, da La Piovra a The American – ambientati in altri tempi e in altri spazi. E invece è qui, con i suoi quasi 1500 metri di altezza a stagliarsi sulla valle del Tirino e sull’altopiano di Navelli. Il pezzo più antico della rocca è di epoca normanna, mentre il grosso degli interventi risale al XV secolo per volere della famiglia Piccolomini. Il castello e i suoi torrioni erano a controllo del regio tratturo per Foggia e l’economia fiorente dei dazi fece nascere anche un borgo ai piedi della rocca che ancora oggi esiste. Un minuscolo pezzo di Abruzzo tardo-medievale.

In valle c’è la sosta per il pranzo. Terre del Tirino è un’azienda agricola a conduzione familiare che produce olio, cereali, legumi, tartufi e vino. Una dimensione fortemente rurale con una testa fortemente progettuale come quella di Alfonso D’Alfonso, una precedente vita da dirigente, un attuale quotidiano nella bella campagna di Capestrano dove, grazie alla ristorazione dell’agriturismo Terra di Solina, è possibile assaggiare un po’ tutto quello che nasce da queste parti, a partire dal grano di Solina, un cereale antico che sa di montagna, il tartufo nero, lo zafferano di Navelli, la polenta di farro con la fonduta di Canestrato, lo stracotto di marchigiana al Montepulciano.

Poco lontano, un’altra tappa dedicata all’arte. Bominaco è un piccolo borgo medievale abitato da meno di cento anime che ospita – nella frazione di Caporciano – il più bell’esempio di arte romanica abruzzese con la chiesa di Santa Maria Assunta di origine benedettina e pare voluta da Carlo Magno in persona. Il gioiello inaspettato però è l’oratorio di San Pellegrino, “la Cappella Sistina del Medioevo abruzzese”. Un esterno minimale è la porta di accesso a uno spazio interno sorprendente per i quasi cinquecento metri quadrati di affreschi che coprono per intero la volta e le pareti Tra influenze bizantineggianti e pittura popolare, questo piccolo spazio è una finestra ampia sul Medioevo rurale.

 

La terza cantina è a Tocco di Casauria, provincia pescarese, ma rimaniamo tra i due parchi del Gran Sasso e della Maiella. I fratelli Terzini sono giovani e ambiziosi. Un marchio recente, nato meno di 10 anni fa che sta costruendo un brand partito molti anni prima solo con la vendita delle uve. Per il decennale Roberto e Domenico – e il padre Aldo che li segue con attenzione – sperano di poter tagliare il nastro della prima cantina ufficiale, con sale di degustazione, ristorante, terrazze per eventi e serate speciali, coinvolgendo il meglio della produzione abruzzese e chef locali. Venticinque ettari di vigna totalmente dedicati agli autoctoni e una produzione di circa 200 mila bottiglie, parte della quale pensata per l’estero. Il loro Montepulciano d’Abruzzo Doc 2016 fa parte della linea Terzini, quella riservata al canale Horeca. Fa 12 mesi di acciaio, a cui seguono almeno sei mesi di tonneaux e altrettanti di bottiglia. È come deve essere un Montepulciano abruzzese: vinoso, con polpa spiccata di frutta, materico, anche croccante, con un finale balsamico e di chiodi di garofano che svelano una beva giovane, ma comunque importante.

Dalla voglia di costruire tutto da zero al consolidamento di un passato che ha molto da raccontare a tutta la viticoltura abruzzese. È il passaggio che facciamo passando dai giovani Terzini alle altrettanto giovani sorelle Pietrantonj, azienda di Vittorito in provincia dell’Aquila. Giovani sì , ma con un’azienda alle spalle che inizia a lavorare nel 1830. E che vanta diversi primati: tra i più grandi produttori di Montepulciano sfuso a inizio secolo scorso, il primo enologo diplomato presso la scuola di enologia a Conegliano in tutta la regione – Nicola Pietrantonj – le più grandi botti in rovere e noci del centro-sud Italia – fino a 360 ettolitri – e una chicca tanto bella da essere inserita tra i patrimoni del Fai, il Fondo Ambientale Italiano. Si tratta di una cisterna scavata nella roccia della cantina di inizio ‘900 , ampia 740 ettolitri e completamente rivestita di vetro di Murano. In servizio fino agli anni ’40, oggi è un luogo magico per “entrare” nel mondo del vino abruzzese, letteralmente infilandocisi, per ascoltare l’eco che produce (pare che un musicista abbia registrato anche un disco al suo interno). Alice e Roberta, rispettivamente agronoma e commerciale, parlano dei trisavoli, dei maschi che si sono succeduti nel lavoro in vigna e cantina, ma ora è la linea femminile dei Pietrantonj a portare avanti questo nome, noto soprattutto per il Cerasuolo. Con loro anche l’altra sorella Serena, architetto, che si è occupata delle aree espositive della cantina.

La Valle Peligna è la culla del Montepulciano ed è qui che nasce la cantina Pietrantonj. A noi è piaciuto particolarmente il Cerasuolo della linea Cerano, annata 2017 – che ha un color ciliegia carico e luminoso. Al naso sa di rosa, di ciliegia e di cipria. In bocca mette subito in risalto acidità e freschezza, lasciando una bocca balsamica e di pepe rosa. Un vino dinamico che sta bene con tutto, anche con le mandorle dolci che da queste parti si chiamano “atterrate”, rivestite da uno strato di zucchero.
Francesca Ciancio

 

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