Sicilia en primeur 2014: raffinatezza e territorio

Sicilia en primeur 2014

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Sicilia en primeur 2014
è un grande evento di presentazione alla stampa internazionale e nazionale dell’annata dei vini siciliani con degustazione alla cieca e non di (quasi) tutti i vini dei produttori appartenenti ad Assovini Sicilia che cura la manifestazione. Noi di Avvinando abbiamo la fortuna di partecipare da diversi anni a Sicilia en primeur e quest’anno complice il fatto di aver assaggiato davvero una quantità notevole di bottiglie è giunto il momento di fare un bilancio di come secondo noi si è evoluta la viticoltura isolana. Partendo da un dato quasi più antropologico che storico: qui l’uva ha accompagnato l’uomo fin dalla notte dei tempi. Persino sulle Eolie, location della kermesse di quest’anno al Therasia Resort di Vulcano, che anzi furono per certi versi un crocevia importantissimo della diffusione del vino, come ha raccontato il professor Attilio Scienza portando ad esempio la presenza nello straordinario museo archeologico di Lipari di una anfora di Chios, uno dei vini più rinomati dell’antichità. Ebbene, presi nel suo insieme, oggi possiamo dire che i vini della Sicilia si sono lasciati alle spalle definitivamente la nomea non sempre positiva di vini “forti” per lasciare il campo a una ricerca di grande raffinatezza, tradotta però in sicilianità, che vuol dire territori particolari che regalano vini altrettanto unici. Vediamo quali ci sono piaciuti di più quest’anno.

Spesso, secondo chi scrive, ci si crogiola un po’ nella retorica del territorio raccontato dal vino. In Sicilia no. Girare per le cantine dell’isola vuol dire davvero trovare un modo di raccontare la Storia dei luoghi. Manifestazioni come questa servono appunto per poter parlare al consumatore di vini buoni e di racconti interessanti. Come quest’anno è quello della viticoltura del Messinese, la sorpresa del 2014 almeno secondo chi vi scrive. Messina vuol dire anche Eolie e chi è andato almeno una volta in vacanza all’arcipelago avrà senz’altro assaggiato quello straordinario vino da dessert che è la Malvasia delle Lipari. In provincia di Messina c’è la minuscola ma di grande qualità doc Faro, ma sopratutto quest’anno abbiamo potuto apprezzare le virtù di un vitigno quasi dimenticato che invece esprime grandi vini: il Nocera. Che sia in purezza, in blend con il Nero d’Avola per il Mamertino di Milazzo doc o con il Nerello mascalese/cappuccio, il Nocera ha una storia che merita di essere raccontata perché era il vino più tipico e più piantato nel Messinese. Una viticoltura quasi completamente scomparsa a causa dell’urbanizzazione e poi ricomparsa ad alti livelli solo negli ultimissimi anni grazie a pochi e piccoli produttori. Noi abbiamo apprezzato tantissimo ad esempio la grande rafinatezza del Sicè di Tenuta Gatti 2010 (il 2011 ottimo, sarà pronto tra qualche mese dice il produttore) e sopratutto il suo rosato Paula, a nostro avviso uno dei migliori d’Italia senza se e senza ma (purtroppo al momento ne fa solo 1.200 bottiglie). Oppure in blend al 70% col Nerello mascalese il Figliodiennenne 2012 di Casematte: da comprare adesso e berselo bello fragrante, ma obbligatorio tenersi un paio di bottiglie per l’anno prossimo e fra due anni per vedere l’effetto che fa. Tutte le Malvasia delle Lipari assaggiate sono vini straordinari, pur interpretando il compito in modo diverso: la freschezza del Didyme 2013 di Tasca d’Almerita, la struttura della Malvasia delle Lipari di Florio e l’eleganza della Malvasia di Salina di Barone di Villagrande. Insomma il Messinese è una zona di piccoli numeri (purtroppo) ma di grandi vini. Da tenere assolutamente d’occhio.

Se passiamo ai vitigni più conosciuti della viticoltura siciliana le buone notizie continuano, per quello che abbiamo potuto assaggiare. Nella confinante zona dell’Etna i bianchi a base Carricante sfornano una annata 2013 meno esplosiva della precedente ma molto, molto più elegante e godibile. Ci sono piaciuti anche i “maturi” Carricante 2012, segno che questo è un vitigno che invecchia decisamente bene (a quando un Vorberg dell’Etna?). Tra i nostri preferiti Etna Bianco 2013 di Barone di Villagrande, Etna bianco Doc 2013 di Planeta, Il Musumeci e A’ Puddara 2012 di Tenute di Fessina e Etna bianco Doc 2013 di Graci. Passando ai rossi a base Nerello mascalese continuiamo a pensare che come per il Nebbiolo tre anni di invecchiamento sia davvero il minimo sindacale per l’Etna rosso e quindi automaticamente le nostre preferenze sono andate ai 2011 in degustazione: Cottanera Etnarosso, Pietradolce Vigna Barbagalli, Graci Acuria Q600; e sopratutto ad alcuni 2010 come il Pietradolce Archineri e il Musumeci di Tenute di Fessina. Tra i vini d’annata il Barbazzale di Cottanera 2013, di una fragranza davvero intrigante.

Le migliori sorprese degustate le ha riservate però il Nero d’Avola. Dobbiamo proprio dire che la ampia batteria di bottiglie in degustazione ha confermato una impressione che avevamo avuto già l’anno scorso: che la lunga marcia verso l’offerta di un prodotto che da robusto intrattenitore diventi grande e raffinato comunicatore si stia compiendo. C’è chi crea intriganti blend, chi riduce il legno, chi la concentrazione, chi lavora diversamente in cantina, ma i risultati si vedono, eccome. Quasi per tutti. E non ci sembra solo una questione di annate. Evitando di ricitare i cinque dell’articolo precedente in cui degustavamo alla cieca 5 bottiglie (Settesoli, Baglio di Pianetto, Firriato e i due campioni di Donnafugata), non possiamo non segnalare almeno il Nivuro 2010 di Feudo di Santa Tresa, il Siccagno 2012 di Occhipinti, l’Aynat 2009 delle Cantine di Canicattì, l’Hugonis 2011 di Tenute Rapitalà, il Santa Cecilia 2010 di Planeta e lo Schietto 2010 di Spadafora. Fuoribusta perché si passa alla Docg del Cerasuolo di Vittoria, il Classico 2011 di Valle dell’Acate (che i lettori di Avvinando conoscono bene in quanto uno dei must della nostra rubrica Bere Bene al Supermercato) che, guarda un po’, invecchia persino.

Tornando ai bianchi meritano menzione le aziende che lavorano sul Catarratto, vitigno difficile. Tutti almeno buoni gli undici degustati, tre le menzioni d’obbligo: Tenute Rapitalà ha tirato fuori un Catarratto in purezza Casaly 2013 strepitoso, forse il miglior bianco mai assaggiato dell’azienda; poi due blend bio di Gregorio De Gregorio: Ruanello 2013 con Inzolia e Lotto 1 2013 con Viognier. Anche gli Inzolia hanno “svoltato” verso la freschezza quest’anno e sono sempre più piacevoli e beverini. Qui il trittico che ci è piaciuto di più è composto da Tenuta Ibidini di Valle dell’Acate, Terre di Giumara di Caruso & Minnini e il Ficiligno 2013 di Baglio di Pianetto. Come ogni anno se volete conferma che lo Chardonnay siciliano non ha nulla da invidiare a quelli francesi, anche il 2012 di Tasca d’Almerita è un assaggio da fare assolutamente, così come tra i passiti di Pantelleria il Ben Ryè di Donnafugata si conferma come uno dei pochissimi vini dolci italiani che possano paragonarsi ai grandi Riesling tedeschi o Sauternes francesi (ma a prezzi decisamente inferiori).

Chiudiamo con l’unica nota dolente. Forse non saremo stati bravi o fortunati nella degustazione, ma ci sembra che sul Grillo non ci siano le idee molto chiare, o – probabilmente – non ce le abbiamo noi. Molti ottimi vini,per carità, ma assaggiati tutti insieme e in batteria 17 bottiglie in purezza e 6 in blend, abbiamo avuto l’impressione di una disomogeneità impressionante.  Molto più evidente ad esempio che nei Nero d’Avola dove sicuramente quelli della zona di Noto sono diversi da Menfi, da Monreale, dal centro della Sicilia. Ma non così tanto: un Nero d’Avola in purezza di solito lo si riconosce. Coi Grillo abbiamo fatto molta fatica. Si è passati da sentori di mentuccia belli forti alla passion fruit, dall’erbaceo alla camomilla manco fosse un Gavi, dal bergamotto alla banana e sono stati piuttosto pochi i vini con i bouquet che invece gli stessi produttori in questi anni di giri per cantine, ci hanno spiegato essere quelli tipici: tè verde, agrumi, vegetazione secca, gelsomino e financo ortica. Stesso discorso al palato dove alla cieca di alcuni si sarebbe detto essere degli ottimi Chardonnay o dei Sauvignon neozelandesi piuttosto che dei Grillo siciliani. Davvero boh! Da non capirci nulla.
Certamente si può sempre dire: “Chissenefrega della tipicità, dei disciplinari, delle doc. Queste sono menate che ci facciamo solo in Italia, l’importante è che il vino sia buono”. Potremmo anche essere d’accordo. Infatti alla fine abbiamo gradito più degli altri quelli in blend con altri vitigni dichiarati che almeno non ci creavano problemi di tipicità: Piano Maltese bianco 2013 Tenute Rapitalà (Grillo, Catarratto, Chardonnay), Don Pietro bianco 2013 Spadafora (Grillo, Catarratto, Inzolia), Rina Ianca 2013 Feudo di Santa Tresa (Grillo, Viognier), Dalila 2012 Feudo Arancio (Grillo, Viogner), Seligo Bianco 2013 Cantine Settesoli (Grillo, Chardonnay).
Comunque tra i Grillo in purezza – ripetiamo diversi ottimi vini in sé anche se molto particolari, uno su tutti Il Coro 2011 di Fondo Antico – ci è piaciuto moltissimo grazie ai sentori agrumati e alla sua freschezza il Bianco maggiore 2013 dell’Azienda agricola Rallo, che forse non a caso è ancora uno dei pochi a produrre un eccellente Marsala Vergine Soleras. Buono anche il Sur Sur di Donnafugata che con le sue note erbacee echeggia i  Sauvignon ma al palato offre una mineralità da grande di Sicilia.
Sergio Bolzoni @sergiobolzoni

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