Ci sono in queste settimane racconti tragici sulla frontiera tra Italia e Slovenia, ma non è sempre andata così e soprattutto oggi non è più così e i vini e l’azienda di Gradis’ciutta ne sono la prova lampante.
E’ lo stesso patron Robert Princic a raccontarlo da “italiano di confine” che parla indifferentemente la lingua di Dante e lo sloveno: “La mia è davvero una azienda sul confine, in 200 metri passo da uno Stato all’altro e i miei vigneti sono a cavallo tra Italia e Slovenia”.
A noi di Avvinando queste storie piacciono molto anche perché occupandoci principalmente di cronache dal mondo su Tgcom24, sapere che i confini possono essere superati grazie al vino (e al lavoro) accende un filo di speranza per il futuro.
Ma veniamo ai vini di Gradis’ciutta. Abbiamo avuto modo di partecipare ad una degustazione a Milano e dobbiamo dire che raramente ci è capitato di trovare una sequenza di vini bianchi (di un rosso parleremo poi) così diritta e uniformemente rappresentativa di un territorio.
Gradis’ciutta, i vini bianchi in degustazione
Iniziamo con una Gradis’ciutta Ribolla 2022, su vigneti in territorio italiano, quindi nel Collio, che ci ha decisamente sorpreso in positivo. Avete presente quelle ribolle un po’ pesantucce, quasi melliflue, sedutine, che si trovano spesso? Ecco questa è proprio tutt’altro: tesa come una corda di violino e scattante grazie a una spalla acida che invoglia a farsi anche (almeno) il secondo bicchiere. Al naso è elegantissima, un po’ agrumata e un po’ foglia di tè (ma quale tè direste voi e avreste ragione: io che sono un consumatore di darjeeling sarei tentato di dire quello, ma starei facendo lo sbruffone…) e un sottofondo di mela verde. Le cose classiche della ribolla insomma, ma qui in una amalgama di grande energia e piacevolezza.
Passiamo al Gradis’ciutta Pinot Grigio 2022 che passa su tutt’altro registro. A naso è preponderante la pera matura, ma sempre con una certa eleganza. In bocca entra potente e diremmo quasi arrogante, inondando i sensi con questa inebriante cremosità. Particolarmente interessante la lunga persistenza che lo rende adatto a pasti con piatti anche piuttosto complessi.
Anche il Gradis’ciutta Friulano 2022 è potente e allo stesso tempo elegante. Qui spicca una notevole mineralità in bocca che lo rende un perfetto compagno di pranzi e cene non solo di pesce. Ampio ma con la sua bella spalla acida in bocca, a naso rende giustizia con un bouquet floreale intenso ma composto, che è un po’ il segno distintivo dei vini per questa annata di Gradis’ciutta.
Andiamo avanti con la Rebula (ribolla in sloveno) Sveti Nikolaj, che a onor del vero esce col nome del proprietario Robert Princic e non come Gradis’ciutta. Quindi non siamo nel Collio ma nel corrispondente sloveno, il Brda. Detto questo parliamo di un vino che aspetta anche un anno in botte grande prima di finire in bottiglia e si sente. Al naso è “importante”, forse persino troppo per un bianco e il gioco di scoprire i sentori secondari e terziari è particolarmente divertente mano a mano che la temperatura nel bicchiere scende. In bocca (per fortuna diciamo noi) l’opulenza si dà una calmata e grazie a una certa sapidità resta sufficientemente beverino e gioca pericolosamente sul confine (metaforico in questo caso) dell’assuefazione, tanta è la “roba” nel bicchiere.
Rischio che non si corre con il Gradis’ciutta Collio Riserva 2018, un riuscito blend di friulano, ribolla e malvasia che passa anch’esso per botti grandi ma mantiene grande eleganza ed equilibrio sia a naso che in bocca, dove ci ritroviamo avvolti in un perfetto mix tra acidità e persistenza. Un vino eccellente per serate d’eccezione che non stupisce al primo sorso ma che conquista con l’intera bottiglia. Insomma, di gran classe.
Ma c’è anche il rosso Monsvini
E qui si torna all’inizio dell’articolo. Monsvini 2018 è un blend classico di merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc. I vigneti però sono un po’ nel Collio e un po’ nel Brda. Questo 2018 rimane fresco e sapido con un tannino ben presente ma non fastidioso. Lunghissima la persistenza e l’ammandorlato del finale rimane molto evidente al palato.
Sergio Bolzoni