Sughero e vino: una storia sostenibile

Due prodotti della terra distanti tra loro ma con un destino che li lega indissolubilmente: questa la storia  del sughero e del vino. Del nettare degli Dei si fa un gran parlare ovunque di colori, profumi o persistenza: in questo mondo in cui tutti a loro modo sono sommelier pochi sembrano essere  i segreti o le cose da scoprire. Non molto si sa invece del sughero, eppure ha un’influenza decisiva nella conservazione del vino e nella salvaguardia del suo bouquet. Cominciamo dicendo che la terra del sughero è il Portogallo un Paese inaspettatamente bello affascinante, caldo e accogliente, che produce la metà del sughero utilizzato nel nostro pianeta.

Un esempio di economia circolare e sostenibilità
Le foreste di querce da sughero sono concentrate nella Regione dell’Alentejo. Le leggi portoghesi impongono che una quercia possa essere decorticata se ha almeno 20 anni di età e solo ogni 9 anni. In questo modo la salute e la vita di queste preziose piante viene preservata. Ad eseguire questa delicata operazione con il “machado” ( macete) sono uomini che si tramandano di generazione in generazione questa pratica che richiede un’alta specializzazione  per non procurare ferite all’albero. Quello dei decorticatori è il lavoro agricolo più ben pagato al mondo (tra i 90 e i 120 euro al giorno).

 

Anche le aziende che trasformano il sughero in prodotti lo utilizzano al 100%. “Non buttiamo via nulla come fanno i contadini con il maiale dichiara Carlos Veloso Dos Santos Ad di Amorim Cork Italia – il sughero migliore viene destinato alla produzione di tappi quello scartato viene utilizzato oggi per la bioedilizia, per le pavimentazioni 
(Sagrada Familia Barcellona), per arredare spazi pubblici (Serpentine Pavillion Londra), per costruire campi da calcio, per farne tavole da Surf (Garret McNamara), per la tomaia delle calzature (Stella McCartney e Nike) e persino per gli Space Shuttle della Nasa grazie alle caratteristiche di leggerezza e resistenza alle alte temperature. Gli scarti diventano biomassa ovvero energia e riscaldamento delle nostre fabbriche”.

Perché il vino sa di tappo 
“La colpa del sentore di tappo- racconta Carlos Veloso Dos Santos Ad di Amorim Cork  Italia- ha origine dai pesticidi: il triclorofenolo, oggi proibito ma ancora presente nei terreni arriva alle piante sotto forma di fungo “tricloroanisolo”(TCA). Se per caso in quel tappo si annida questa molecola, essendo l’alcool un potente estrattore, la intercetta facilmente compromettendo il gusto del vino in essa contenuto. La soluzione oggi a questo problema noi l’abbiamo trovata: dopo 5 anni di studi e ricerche e 10 mln di euro di investimenti oggi produciamo tappi NDtech che costano solo 20 centesimi circa in più degli altri ma assicurano l’assenza del TCA”. La Amorim Cork, azienda di proprietà dal 1870 della famiglia Amorim,  produce un terzo dei tappi esistenti al mondo ovvero 4 miliardi all’anno ha un fatturato di 890 milioni di euro ed è l’unica che ha risolto alla radice il problema del vino che “sa di tappo”.
Ludovica Casellati

 

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