Parliamo di quanto è buono il Crémant de Bourgogne di Pierre-Marie Chermette (e anche un po’ di prezzi)

Cari lettori dopo una pausa forzata di qualche settimana ritorniamo con le nostre degustazioni. E lo facciamo con una splendida bottiglia di bollicine… Francesi! Però non parliamo di champagne ma di un crémant, cioè gli spumanti prodotti al di fuori del territorio previsto dall’appellativo. Perché lo facciamo? Intanto perché il Crémant de Bourgogne di Pierre-Marie Chermette è buonissimo,, per il prezzo quasi strepitoso. E poi perché ci dà il “la” per fare una piccola riflessione che il sottoscritto si tiene sul gozzo da un po’ di tempo. 

Partiamo com’è giusto dal vino. L’incontro con questo Blanc de blanc extra brut è avvenuto in vacanza, ma non in Francia, come sarebbe lecito supporre, bensì a Berlino in un simpatico ristorantino. Chardonnay 100% e blend di tre millesimi  sapientemente assemblati, il Crémant de Bourgogne di Pierre-Marie Chermette, conquista per il bouquet agrumato che sovrasta – con armonia – la classica crosta di pane. La bolla è perfetta, da manuale di enologia. In bocca entra potente, ricco, ampio. Perfetto tutto pasto, ogni sorso si fa notare per una persistenza infinita. Insomma, colpo di fulmine.

A questo punto già mi sento l’obiezione: “Eh, sì. Sarà anche buono ma i vini francesi sono cari”. Vero ma non verissimo (e qui veniamo alla riflessione) sopratutto quando parliamo di bollicine. In questo caso, la bottiglia di Pierre-Marie Chermette è stata pagata in un ristorante della capitale tedesca (che non sarà Londra ma non è più neanche la città super economica di 10 anni fa) la “bellezza” di 29 euro in una estate dove amici fidati di Avvinando ci raccontano di prosecchi sfusi venduti a 11 euro al litro! Per non parlare dei super prezzi degli spumanti di tanti produttori “new entry” (per usare un eufemismo) saliti di corsa sul treno della moda delle “bollicine” (per carità non c’è nulla di male in questo), ma che offrono prodotti non sempre all’altezza dell’esborso richiesto. Facendo la tara al lecito e ovvio ricarico del ristoratore, ci vien da pensare che quanto abbiamo pagato per questo crémant sia decisamente corretto. Il fatto è che ci capita sempre più spesso di bere bollicine dei “cugini” che hanno un rapporto qualità/prezzo valido pur comprati in Italia. Se invece usciamo dai nomi “noti”, al contrario, l’impressione è sovente quella di spumanti (o prosecchi) che non valgono tanti i soldi spesi. Insomma ci pare che in casa nostra si sia persa un po’ la categoria del sano (non si chiede eccezionale) rapporto Q/P. Non è che forse è il caso di darsi una regolata? Scriveteci e diteci cosa ne pensate.
Sergio Bolzoni