Dall’11 novembre torna a Montalcino Benvenuto Brunello, l’anteprima internazionale del grande vino di Toscana giunta quest’anno alla 31° edizione e che vedrà la presentazione del Brunello 2018, la Riserva 2017, del Rosso 2021 oltre agli altri due vini della denominazione, Moscadello e Sant’Antimo. Per noi di Avvinando sarà la quarta anteprima consecutiva dopo gli assaggi delle annate 2015 e 2016, entrambe da ricordare pur nelle loro diversità, e della 2017, annata siccitosa che ci ha comunque sorpreso con assaggi di ottima qualità.
Il tratto che ci ha sempre colpito di questa manifestazione è il livello degli assaggi, una qualità eccellente anche nelle annate difficili. Non solo, c’è qui una compattezza che ti fa dire con soddisfazione ad ogni campione “questo è un Brunello!”. In attesa di tornare a Montalcino per le nuove anteprime, abbiamo così scorrazzato per le cantine del territorio per scoprire cosa raccontino davvero questi vini, non solo il Brunello, e per farci svelare da chi li produce quale sia il segreto di questo incredibile (e bellissimo!) territorio.
Stefano Cinelli Colombini, alla guida di Fattoria dei Barbi, ci racconta che “Montalcino è unica tra le regioni vinicole italiane perché solo qui si fa concorrenza sull’immagine ma mai sui prezzi. Per questo riusciamo a fare grandi eventi promozionali insieme, in Italia e nel mondo, e lo facciamo da mezzo secolo: nessun altro lo fa da tanto tempo, così tanto e con così grande successo. Montalcino è come una nave con trecento rematori, per forza va più veloce di qualunque barca singola. Scusate se è poco“. Ci ha colpito il Brunello 2002, un’annata non particolarmente felice stando alle due stelle assegnate dalla Commissione di Valutazione, ma in grandissima forma. Frutta scura sotto spirito, anice stellato, note carnose. La bocca è pomposa, piena, freschissima con ricordi di erbe medicinali, china, rabarbaro, arancia scura e cioccolata. I tannini vellutati e la freschezza regalano un vino pimpante e ancora succoso.
Se si parla dell’eleganza del Brunello non si può non citare Le Potazzine. Gigliola Giannetti, che insieme alle figlie ha creato una cantina a trazione femminile, ci dà il suo punto di vista da montalcinese docg. “Montalcino è un insieme di cose belle che raggiunge i 5 sensi e che sfocia in un brand e un vino importante. Qualcuno parla di mal di Toscana e Montalcino ne è l’essenza… Noi montalcinesi spesso diamo per scontate queste cose, ma chi arriva si accorge che il clima, l’ambiente e l’accoglienza umana creano un’atmosfera magica di bellezza, per cui non c’è la ricetta. E io, da mamma, dico sempre che dove stanno bene le persone sta bene anche la vigna!” Strepitosa la Riserva 2011, con una bella nota salmastra, frutto croccante, estratto, concentrazione ma dal soffio mediterraneo. Un vino caldo, di grande finezza e super beverino dal tannino morbido, la bella sapidità e il finale inondato da una super freschezza balsamica.
Anche Giampiero Bertolini, Amministratore Delegato di Biondi-Santi è più o meno dello stesso avviso. “Franco Biondi Santi era solito dire che Tenuta Greppo fosse una ‘terra baciata da Dio’. Io posso aggiungere che più studiamo a fondo le caratteristiche del nostro terreno, dal punto di vista geologico, pedologico, viticolo, arricchendo la nostra conoscenza scientifica, e più torniamo a una sensazione simile: c’è qualcosa qui che fa sì che il Sangiovese si esprima in un modo particolarmente interessante. Qualcosa a cui ci dobbiamo arrendere e per cui dobbiamo essere grati.” E la Riserva 1985 è uno degli assaggi che ci ha maggiormente stregato degli ultimi tempi. Una grande annata per un vino spettacolare! Ci sono note di propoli e rabarbaro che ne sussurrano l’evoluzione. Ma è super godibile, fresco con un frutto maturo ancora pieno e polposo, che resta, insieme alle sensazioni sapide, sulla lingua a lungo in modo fantastico. 37 anni di giovinezza!
Andrea Machetti, Amministratore Delegato di Mastrojanni, spiega che “i produttori, dal grande al piccolo, qui credono nel proprio territorio e lo rispettano. Non c’è sfruttamento, ma una grande cultura di rispetto per non distruggerlo. Abbiamo una nicchia speciale per il sangiovese, un terroir variopinto con bosco, uliveto e vigna, un territorio agricolo in primis dove il vigneto non copre il 100% ma si è installato storicamente nelle zone più vocate, che grazie alle caratteristiche pedoclimatiche danno grandi acidità e sapidità. Anche oggi, pur con l’aumento delle temperature, lavorando bene in vigna si ottengono vini che restano lunghi per tutta la vita”. E gli assaggi lo dimostrano. Abbiamo qui avuto una sorpresa memorabile. Non parleremo del Brunello (pur essendo un assaggio clamoroso) ma del Rosso 1984. Avete letto bene. Parliamo di un’annata considerata minore, ma in cui anche quello che un po’ erroneamente è spesso considerato il “piccolo” della famiglia montalcinese sorprende e diventa didascalico nello spiegare la grandezza del territorio. Color mattone, al naso presenta quelle note tipiche dell’evoluzione, dalla genziana alla china, ma la bocca è sorprendente, fresca, leggera, super beverina e viva. Un assaggio che ci insegna come anche bottiglie “minori” di grandi cantine qui siano speciali.
Francesco Marone Cinzano, Presidente di Col d’Orcia sostiene che “non è casuale che il Brunello sia il nostro vino più iconico nel mondo. Sono stati determinanti la lungimiranza nel codificare l’uso esclusivo del sangiovese, la registrazione del marchio Brunello in tempi in cui non c’era alcuna tutela per il vino italiano e l’unità e la collaborazione tra montalcinesi e ‘forestieri’, che hanno portando idee e investimenti. Il tutto all’insegna di una grande qualità su tutta la produzione agricola. Qui anche olio, miele e cereali sono speciali a conferma dell’unicità di Montalcino, che raccoglie una concentrazione unica di sapori.” E proprio a dimostrazione di questo abbiamo scelto un altro grande assaggio, non un rosso ma un vino dolce. Una vera sorpresa. Ancora una volta parliamo di unicità, laddove in tutta la Toscana si fa il Vin Santo qui c’è il Moscadello. Il Pascena 1993 è uno spettacolo, una grande freschezza, una complessità aromatica formidabile, un ricordo della dolcezza e una bella morbidezza. Una vera chicca per un vino che definire dolce sarebbe riduttivo e che ci dà ancora una volta una superba testimonianza della cultura del tempo e della natura di questo luogo.
Non resta quindi che assaggiare la nuova annata, che presto vi racconteremo qui su Avvinando, e magari esplorare ancora il territorio per scoprire altre sorprese e conferme di questa unicità.
Raffaele Cumani
@raffaelecumani