Piccola guida personale alla Franciacorta: sorprese e scoperte nel regno delle bollicine – parte prima

Diciamolo, Franciacorta è un bel nome. Ha una sorta di musicalità perfetta per un vino di così grande aplomb. Qualcuno potrebbe pensare a una brillante trovata di marketing, in realtà parliamo di una denominazione antica. Negli statuti del comune di Brescia compare per la prima volta già nel 1277 a identificare un’area compresa appena a sud del lago d’Iseo tra il fiume Oglio e il Mella. Qui erano disseminate alcune corti monastiche esentate dalle tasse, le franchae curtes, le corti franche, da cui pare derivi il nome Franciacorta.

Il territorio

Siamo in Lombardia a poco più di un’ora da Milano ma già ai piedi delle Alpi in un’area di grande bellezza paesaggistica e di notevole equilibrio climatico: il lago d’Iseo con la sua massa d’acqua fa da regolatore termico garantendo una temperatura mite anche nei mesi invernali; d’estate la Val Camonica che scende dall’Adamello (dove, peraltro, si trova il più grande ghiacciaio d’Italia), aiuta con le sue fresche brezze a mitigare la calura estiva. A sud, termine della Franciacorta verso la pianura, il Monte Orfano, isolato (come dice il nome), ripara dalle ondate di calore padane.

Il suolo è costituito essenzialmente da depositi morenici trasportati dall’antico ghiacciaio di cui le colline disposte ad anfiteatro ne sono evidente testimonianza: le più antiche sono a sud verso la pianura, le più recenti nei pressi del lago.

La nascita della Franciacorta va ricercata nel lontano 1961 quando 11 produttori, con 29 ettari di vigneto danno inizio alla vinificazione con metodo classico di un vino spumante chiamato Pinot di Franciacorta. Al 1967 risale la DOC, quindi il 5 marzo 1990 viene fondato il Consorzio di Tutela Franciacorta per garantire e controllare il rispetto della disciplina di produzione. Nel 1995 infine la DOCG, con una produzione di bottiglie cresciuta in maniera esponenziale in poco più di vent’anni e un numero di cantine che ha ormai superato il centinaio.

Date queste premesse, raccontare la Franciacorta in un articolo è semplicemente impossibile.  

Così il nostro percorso nasce da suggestioni differenti, stimolate casomai dal perdersi nel territorio, mescolando come in una perfetta cuvée, scelte meditate, incontri fortuiti e tanta curiosità. Lo faremo in due articoli diversi, come due tappe di un unico viaggio.

I nostri assaggi

Partiamo con i nostri assaggi da Clarabella, una cantina situata in un’area chiamata Ca’ de Pole perché in passato ricca di cave d’argilla, appena a sud delle torbiere del Sebino. Si tratta di una Cooperativa Agricola Sociale che dà lavoro a persone fragili. Stiamo parlando di una realtà piuttosto giovane (la prima vendemmia è del 2005) e dalla produzione contenuta, meno di 100.000 bottiglie all’anno e tutte in biologico.

Il suo Franciacorta Satèn (100% Chardonnay) ha carattere deciso dato dal poco dosaggio (è un brut quasi extra-brut); la fermentazione è parte in acciaio, parte in barriques, per un riposo sui lieviti che varia dai 24 ai 30 mesi. In bocca si scoprono sentori di limone ma anche di frutta tropicale e note minerali per un finale fresco e dal gusto decisamente originale. E qui dobbiamo fare un breve cenno sulla terminologia che andremo via via a proporre: satin in francese vuol dire seta ed è un termine coniato proprio in Franciacorta per smarcarsi dal termine Crémant, vietato nel suo utilizzo dai produttori di Champagne. Fino al 31 agosto 1994, infatti, il termine Crémant veniva utilizzato per definire qualsiasi spumante prodotto nella comunità europea, Champagne compreso, con una pressione minore in bottiglia, circa 4,5 atm. Dopo quella data e con complicate vicissitudini legali, il termine andò a identificare qualsiasi spumante prodotto con metodo classico fuori dalla zona dello Champagne. Il Satèn quindi, riporta al concetto originale di Crémant ed è caratterizzato da un’effervescenza più contenuta, risultato di una minore pressione in bottiglia rispetto agli spumanti classici (non deve superare le 5 atm); di conseguenza, ha una spuma più fine, ‘cremosa’ e una maggiore sensazione di morbidezza. Si può ottenere solo da uve bianche (chardonnay e pinot bianco). Il disciplinare prevede che sia sempre Brut ovvero che il contenuto di zuccheri presenti nello sciroppo di dosaggio non superi i 12g/l; proseguendo invece verso bollicine più “secche” abbiamo l’extra-brut (fino a 6g/l), quindi il dosaggio zero (anche nei nomi nature, Pas Dosé), il più secco in assoluto non avendo zuccheri aggiunti.  

A quest’ultima categoria appartiene il Pas Dosé Essenza, altro Chardonnay in purezza, 24 mesi sui lieviti, dal sapore netto, vibrante con sentori di scorza di limone, lime e lunga coda balsamica. Il Franciacorta 180 (dal nome della legge Basaglia) è pure un dosaggio zero; riposa 60 mesi sui lieviti ed è una cuvée (ossia un assemblaggio dei vini base ottenuti da vitigni, vigneti e annate diverse) paritaria di chardonnay e pinot nero. È intenso, strutturato, con perlage persistente ma elegante e dotato di una spiccata mineralità. La sua estremizzazione è il DésAign Millesimato 2011 Dosaggio Zero, 120 mesi sui lieviti, ancora più intenso e corposo, dal colore giallo oro, dove tutti gli elementi del 180 è come se venissero amplificati per una bevuta davvero originale: il gusto è pieno, persistente, intenso, con sentori di crosta di pane e vaniglia.

Nel campo dei millesimati (i Franciacorta ottenuti da un’unica annata), spicca tra i nostri assaggi il Nodens de Le Marchesine, un extra brut del 2016, 36 mesi sui lieviti, 100% pinot nero. Viene utilizzata solo la prima fase della pigiatura per un perlage finissimo, delicato al naso con profumi agrumati ma dove si fanno notare anche spezie e radici (retaggio del vitigno). In bocca emergono il lime ma anche la pera e lontani sentori di crosta di pane. Il finale è lungo e ricorda la resina di pino.

Interessante pure il Franciacorta di Villa Emozione, millesimato del 2018 con 85% Chardonnay, 10% Pino Nero e 5% Pinot Bianco. Vinifica in acciaio e risposa minimo 36 mesi sui lieviti. È una bolla classica per un brut agrumato con sentori di frutta fresca, pompelmo e pera.

Siamo giunti al termine di questa prima parte. Come detto, non è la fine del viaggio ma solo una piccola sosta prima di ripartire nel prossimo articolo con altri assaggi e altre scoperte.

Massimo Beltrame

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