Siamo stati a lungo indecisi se pubblicare o meno questo articolo. Non perché il contenuto si presti a chissà quale interpretazione, ma perché, pochi giorni dopo gli assaggi che qua raccontiamo, la situazione generale nel nostro Paese e a Milano in particolare è tornata a peggiorare. Non serve in questa sede addentrarsi in descrizioni di cose che, ahinoi, sono sotto gli occhi di tutti, ma per chi scrive di cose “leggere”, come solo per certi versi è il vino, in periodi drammatici il pericolo di essere fuori luogo è dietro l’angolo.
Dopo lunga riflessione ci siamo detti che, no, il vino, come tutte le eccellenze del nostro Paese, non è cosa leggera e merita di essere raccontato anche e più in momenti come questo. Chi lavora con serietà non deve essere penalizzato doppiamente perché nella nostra agenda mentale non c’è più spazio per parlare di ciò che ci dà piacere. Dunque torniamo indietro, alla settimana di cui vi abbiamo già parlato in cui Milano torna ad essere la capitale del vino e una sorta di Bengodi dei winelover.
Della degustazione spettacolare in cui sono stati svelati i migliori assaggi della Guida Oro di Veronelli 2021 in cui abbiamo avuto modo di assaggiare cinque pesi massimi dell’enologia italiana troverete qui il resoconto. Partiamo dalle bollicine, merita una menzione il Blanc de Noirs 2016 di Altemasi, bolla da pinot nero quest’anno al suo esordio. E che esordio! Siamo in Trentino, c’è una bella avvolgenza con note complesse ed eleganti per un vino deciso al contempo delicato, che punta su acidità e struttura.
Strepitosa la verticale di Palazzo Lana, la bollicina top di Berlucchi, affinata per oltre 10 anni sui lieviti. Parliamo di vini ottenuti da solo Pinot nero da due precisi vigneti e pensati per l’evoluzione che prendono il nome dall’antico palazzo della tenuta dove la storia recente della cantina ha avuto inizio. Il 2005 ci ha entusiasmato, iniziano (e siamo nel 2020…) a mostrarsi accenni di evoluzione. C’è una grande complessità ma in una cornice super verticale. Agrumi, note minerali e un finale spettacolare e freschissimo. Ci sentiamo di scommettere senza rischi anche sul giovane (!!!) 2009, al momento più floreale e morbido, che non presenta ancora note evolutive pronunciate e ha davvero un gran potenziale.
Passando ai bianchi, ci portiamo a casa un’illuminante degustazione di vermentino maremmano organizzata dal Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana che ci ha restituito una bella brezza marina estiva, che di questi tempi male non fa. Soprattutto abbiamo avuto modo di approfondire le potenzialità di questi vini che siamo spesso abituati ad approcciare come bevute da spiaggia, ma che sanno esprimere note, a seconda dello stile del produttore, ampie e variegate. Frutti gialli, agrumi, note floreali, erbe aromatiche e dopo qualche tempo anche note affumicate, di idrocarburi e di mandorla. In bocca c’è spesso avvolgenza con rimandi mediterranei, tanta freschezza e sapidità marina. Il tutto all’insegna di una certa longevità. Gli assaggi a partire dal 2017 sono tutti giovanissimi e tesi, con una certa complessità e parecchio intriganti. Meritano senz’altro una menzione, il Vermentino 2019 di Rocca di Frassinello, il Leadro 2018 di Mustiaio, il Balbinus 2018 di Terenzi, il Codice V 2018 di Belguardo e lo Scalandrino 2019 di Fattoria Mantellassi.
In tema di bianchi, ottimi i Lugana di Zenato, di slancio e frutto e super beverino il San Benedetto 2019 e di grande potenzialità il Riserva Sergio Zenato 2017 che aggiunge alle note floreali e agrumate quelle speziate e tostate e una bella sapidità delicata. Della stessa cantina, non si può però non menzionare l’Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 2006, un rosso dalla struttura e complessità enorme e dal colore impenetrabile che fa però dello slancio e dell’eleganza il proprio marchio di fabbrica. Succo, mineralità, speziatura, note di tabacco, incenso, vaniglia, cioccolato, e ci fermiamo qui per dovere di sintesi.
Restando su grandi rossi da invecchiamento, scommettiamo non avrà problemi in questo senso anche il Lam’oro 2015 di Lamole di Lamole, eccezione alla regola della cantina nel Chianti Classico che si dedica da sempre al culto del sangiovese. Qui siamo di fronte a un assemblaggio di merlot e cabernet sauvignon con lo stesso sangiovese. Materia, muscolosità, quel peso che si chiede ad un super tuscan ma anche l’eleganza del territorio e uno sguardo che sfida gli anni.
Sulla capacità di attraversare gli anni, ogni degustazione dei vini di Biondi Santi sposta un po’ più in là l’asticella. Abbiamo avuto la fortuna di partecipare a una doppia verticale di Brunello e Brunello Riserva e sarebbe bastato (ma perché farlo?!) fermarsi al colore dei vini che sembrano spesso appena imbottigliati tanto sono brillanti. Menzioneremo per dovere di sintesi solo alcuni vini. Il Brunello 2009 si esprime con uno splendido frutto rosso, balsamico, una bocca finissima, sapida, un bel tannino e il finale freschissimo. La Riserva 1998, ha un colore denso, note terziarie, caffè, tabacco, cuoio, goudron, china. La bocca è giovanissima, c’è volume, complessità, morbidezza ma il finale è esplosivo. C’è il frutto, la materia e tanta tanta eleganza e freschezza per un vino infinito. Della Riserva 2012 vi avevamo già parlato durante il lockdown, qua ripeteremo solo che ci auguriamo un assaggio almeno semestrale a vita per seguire da vicino la crescita di questo gioiello.
Raffaele Cumani
@raffaelecumani